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Studio Medico Dott. Paolo Piana
C/o Studio medico MediCare
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Esami

Diagnostica per immagini

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Radiografia diretta dell’addome

Dal punto di vista urologico più correntemente definita “radiografia reno-vescicale” è tuttora un esame eseguito molto frequentemente, particolarmente in urgenza ed in combinazione con l’ecografia come accertamento di primo livello.

 

In pratica è però in grado di fornire indicazioni piuttosto vaghe, le uniche alterazioni di interesse urologico individuabili con certezza sono calcoli di dimensioni medio-grandi e con elevato contenuto in calcio. La sovrapposizione di gas e residui fecali nell’intestino spesso maschera o confonde la presenza di piccole calcificazioni. Per ottenere informazioni più precise oggi è stata quasi completamente soppiantata dalla TAC senza o con infusione di mezzo di contrasto.

Urografia

Esame radiologico convenzionale dell’addome eseguito dopo l’infusione endovenosa di mezzo di contrasto, che rende l’urina opaca ai raggi così definendo con precisone il profilo di tutte le vie urinarie, dal rene alla vescica. Fino a 20 anni fa costituiva l’accertamento di base per lo studio di buona parte delle patologie urologiche, oggigiorno soppiantata quasi completamente dalla TAC, che è assai più precisa a fronte di una esposizione ai raggi abbastanza simile.

Ecografia

È un accertamento molto pratico, veloce ed economico in grado di definire con discreta precisione tutti gli organi dell’apparato uro-genitale, per questo è oggi estremamente diffuso. Utilizzando gli ultrasuoni e non i raggi non ha praticamente alcun impatto sui tessuti biologici e può essere ripetuto senza alcun problema. Per la valutazione della prostata, l’ecografia per migliore definizione si può eseguire con una sonda inserita attraverso il retto. In caso di sospetto tumore maligno della prostata oggi all’ecografia si preferisce comunque la risonanza magnetica multi-parametrica, assai più precisa.

 

A proposito dell’ecografia, è molto importante chiarire alcuni concetti generali che spesso, se travisati, portano a possibili rischi, dubbi ed incomprensioni.

  1. L’ecografia è un esame di diagnostica per immagini e pertanto il medico specialista che ne ha competenza diretta è esclusivamente il radiologo, in particolare quando l’esame viene eseguito a scopo diagnostico generale. Molti altri specialisti, compreso l’urologo, utilizzano oggi molto spesso l’ecografia come supporto a particolari procedure operative (es. biopsie della prostata, trattamento dei calcoli renali con le onde d’urto, eccetera). Per motivi medico-legali noi riteniamo che l’ecografia diagnostica debba essere eseguita solo dal radiologo, poiché a uno specialista diverso potrebbero sfuggire rilievi occasionali, ma talora di grande importanza, ad esempio su organi circostanti non di diretta competenza.
  2. L’ecografia è un esame dinamico, che può essere valutato solo in diretta da chi lo sta eseguendo in quel momento. Le immagini spesso allegate del referto hanno un valore molto relativo e di scarso significato diagnostico. Per questo motivo ed a differenza di altri accertamenti radiologici, l’urologo non può interpretare autonomamente le immagini e deve fare affidamento su quanto osservato e descritto dal radiologo. Qui intervengono possibili differenze di esperienza e meticolosità tra vari specialisti od anche la qualità degli apparecchi utilizzati. Non deve pertanto stupire il riscontro di differenze anche sensibili tra indagini eseguite da operatori diversi anche a breve distanza di tempo. Ad esempio, è piuttosto frequente una certa difformità nel rilievo e nella misurazione di calcoli renali di piccole dimensioni.
  3. Con particolare riferimento ai calcoli delle vie urinarie, ricordiamo che l’ecografia tende generalmente a sovrastimare le dimensioni delle piccole concrezioni anche del 20-30% e tende a considerare come un corpo unico eventuali piccoli frammenti adiacenti. Di questo bisogna tenere ben conto quando si valutano i risultati di tutti gli interventi di frammentazione. Inoltre, l’ecografia non è perlopiù in grado di valutare per la presenza di calcoli un lungo tratto tra il rene e la vescica, a meno che l’uretere non sia particolarmente dilatato.

TAC (Tomografia Assiale Computerizzata)

È oggi l’indagine radiologica più diffusa nello studio di buona parte delle patologie urologiche. Comporta una esposizione ai raggi piuttosto consistente, comunque in via di progressiva riduzione con il perfezionarsi delle apparecchiature. Può essere eseguita senza infusione di mezzo di contrasto ed in questa forma costituisce l’esame più preciso per la valutazione dei calcoli delle vie urinarie, definendone con precisione la posizione e le dimensioni.

 

Con una certa approssimazione, la TAC è anche in grado di stimare la durezza dei calcoli, cosa che ha alcune implicazioni nella scelta del loro trattamento. Buona parte delle TAC viene però eseguita con infusione del mezzo di contrasto, che migliora notevolmente la definizione di tutti gli organi interni. L’infusione del mezzo di contrasto presuppone una funzione renale normale, cosa che deve essere accertata in precedenza mediante la misurazione della creatinina nel sangue.

 

Inoltre, al mezzo di contrasto si possono manifestare allergie anche gravi, questo impone particolare attenzione nella prescrizione in soggetti che abbiano già manifestato altre gravi allergie. Questi rischi, quando sospettati, possono comunque essere ridotti facendo precedere l’esame da una idonea terapia desensibilizzante.

R.M.N. (risonanza magnetica nucleare)

Questo esame, basato in parole povere sull’eccitazione magnetica dell’acqua contenuta nelle cellule, permette di ottenere immagini simili a quelle della TAC, ma senza emissione di raggi. In urologia ha indicazioni abbastanza selettive, è utilizzata nella diagnosi di situazioni molto particolari (es. sospetti tumori del rene, endometriosi, ritenzione del testicolo, ecc.).

 

Curiosamente, la risonanza magnetica non definisce bene i calcoli urinari, trattandosi appunto di corpi solidi che non contengono acqua. Discorso a parte per la prostata, in cui oggi la risonanza magnetica multi-parametrica è divenuta l’indagine di riferimento nei sospetti di tumore maligno. Eseguita con infusione di un mezzo di contrasto particolare, permette di individuare non solo le alterazioni perlopiù nodulari della prostata, ma anche di definirne la potenziale aggressività delle lesioni. In questo modo è possibile differenziare situazioni poco rischiose (es. infiammatorie) da altre molto sospette che inducono senz’altro all’esecuzione di biopsie. Con l’aiuto della risonanza magnetica già effettuata, è oggi possibile eseguire queste biopsie con la tecnica “di fusione” che permette di mirare i prelievi con la massima precisione possibile.

Scintigrafia e PET

Si tratta di accertamenti di medicina nucleare che comportano l’infusione di sostanza blandamente radioattive la cui fissazione nei tessuti o la filtrazione da parte dei reni possono dare importanti indicazioni in situazioni diverse. La scintigrafia renale è l’unico esame in grado di fornire notizie precise sulla funzionalità separata dei due reni. Questo torna utile sia alla di prima diagnosi, sia per valutare gli eventuali vantaggi di un intervento. La PET, utilizzata solo in campo oncologico, è in grado di differenziare i tessuti a riproduzione cellulare rapida, risultando più precisa di altri esami per individuare la localizzazione ed estensione tumorale, soprattutto in caso di recidive.

Esami di Laboratorio

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Esame completo delle urine

È l’esame più semplice ed economico che l’urologo possa richiedere, eppure in molte situazioni il suo risultato è tuttora uno degli elementi di giudizio più importanti. In linea di massima. allo specialista interessa in particolare il sedimento delle urine, ovvero quanto si osserva al microscopio dopo la loro centrifugazione. Importante è la presenza di globuli rossi e globuli bianchi, che quando sono presenti non solo come deboli tracce rendono indispensabile una valutazione specialistica globale con eventuali accertamenti. Per quanto riguarda la valutazione del soggetto predisposto alla calcolosi urinaria o con precedenti di questo tipo vi sono altri elementi importanti da valutare:

  • la densità delle urine
  • la loro acidità
  • la presenza di cristalli nel sedimento

 

La densità delle urine è essenziale, poiché in tutti i casi nelle urine troppo dense i calcoli hanno un rischio maggiore di svilupparsi. Il valore dipende essenzialmente solo dalla quantità di liquidi introdotti, che deve essere sufficiente a superare di gran lunga le perdite (sudore, ecc.). Considerando che normalmente l’esame viene eseguito su un campione delle prime urine del mattino, è altamente consigliabile che chi è a rischio di calcoli non abbia mai una densità superiore a 1016.

 

L’acidità delle urine diventa rilevante quando troppo elevata o troppo bassa. Nelle urine molto acide (inferiori a pH 6) precipitano ad esempio i cristalli dell’acido urico, che possono formare calcoli di per loro o fungere da base per la crescita di calcoli contenenti calcio. Nelle urine troppo poco acide (superiori a pH 7.5) è più facile la precipitazione dei fosfati e la crescita di calcoli di questo tipo. Questa situazione è favorita dalle infezioni delle vie urinarie portate da alcuni tipi di batteri.

 

La presenza di cristalli nel sedimento (ossalati, urati, fosfati) deve essere sempre valutata criticamente. Se si tratta di una manifestazione episodica è assai probabilmente legata all’alimentazione delle ore precedenti o all’assunzione di farmaci, talora amplificata dalla disidratazione. In questi casi il rilievo non ha alcun interesse particolare dal punto di vista medico. Se la presenza di cristalli è invece continua e significativa ad esami ripetuti è probabile che vi sia una certa predisposizione alla formazione di calcoli. C’è però da notare che non è così comune osservare la cristalluria quando vi sono calcoli già formati nelle vie urinarie. Quindi, grossolanamente, quando i cristalli vengono eliminati continuamente in abbondanza dalle urine, vi è meno materiale a disposizione e pertanto i calcoli non si formano o lo fanno più lentamente.

Urocoltura

Il campione raccolto per l’esame è in genere il secondo getto della prima minzione del mattino (sulle urine del primo getto si può eseguire l’esame chimico-fisico).

 

È molto importante che queste urine tocchino il meno possibile la pelle e le mucose circostanti. Il grosso problema dell’urocoltura è infatti l’elevata possibilità di falsi positivi, ovvero la crescita di batteri che non provengono dalle vie urinare ma che sono presenti esternamente e vengono raccolti dal flusso urinario. Si tratta di batteri provenienti dall’ultimo tratto dell’intestino che colonizzano in modo perlopiù innocuo l’area genitale.

 

Questa possibilità deve essere sempre tenuta ben presente quando si interpretano i risultati di una urocoltura, poiché – talora per superficialità – si è indotti alla prescrizione errata di antibiotici. Ricordiamo che il quadro di una infezione delle vie urinarie comporta la presenza di globuli bianchi nel sedimento dell’esame delle uirne, quantomeno in discreta quantità. Quando questo non accade, si deve sempre sospettare che vi sia stata una contaminazione e pertanto il risultato sia da interpretare criticamente, soprattutto per evitare la somministrazione di antibiotici, che in queste condizioni non avrebbe alcuna utilità. La somministrazione inappropriata di antibiotici è senz’altro uno dei più grossi e pericolosi errori della medicina moderna.

 

I batteri più comunemente coinvolti nelle infezioni delle vie urinarie, ovvero gli Escherichia Coli di origine intestinale non sono particolarmente coinvolti nella formazione dei calcoli urinari. Non così altri tipi di batteri (es. Proteus, Pseudomonas) in grado di fermentare l’ammonio urinario, con ulteriore riduzione dell’acidità, facilitando così la precipitazione di fosfati. In queste condizioni si possono formare i cosiddetti calcoli “infetti” tipicamente a rapida crescita e di grandi dimensioni.

P.S.A.

L’antigene prostatico specifico è da 40 anni circa praticamente l’unico marcatore del tumore maligno della prostata. Rilevato nel sangue, quando assume valori elevati (generalmente superiori a 3,5 – 4 ng/ml) dovrebbe indurre ad eseguire ulteriori accertamenti per rilevare un tumore maligno della prostata (adenocarcinoma), il più delle volte allo stadio iniziale. A scopo di prevenzione è diventato abituale valutarlo periodicamente in tutti gli uomini, fra i 45-50 ed i 75 anni. Al di sotto di quella età, l’insorgenza di un tumore è inverosimile, mentre nell’anziano possiamo pensare che, se un tumore non si è sviluppato nelle tre decadi precedenti, sarà molto difficile che lo faccia in seguito.

 

Purtroppo, fin dall’inizio si è compreso che il PSA non è un marcatore di buona qualità, cui si chiede di essere sia molto sensibile che molto specifico, Il PSA è discretamente sensibile, ma assai poco specifico, ovvero una parte non indifferente delle sue alterazioni non è correlata alla presenza di un tumore maligno, ma è dovuta ad altri motivi. Le condizioni non tumorali che tendono ad elevare il PSA sono l’infiammazione della prostata e l’ingrossamento benigno dell’età matura (IPB). I risultati alterati devono quindi essere valutati con attenzione, sempre dallo specialista in urologia. A tutt’oggi non è ancora stato proposta una valida alternativa e probabilmente ancora per parecchio tempo gli urologi continueranno a barcamenarsi tra risultati contraddittori e poco affidabili, che solo la prudenza e l’esperienza possono aiutare a gestire correttamente

 

Non pare questo il luogo per dilungarsi sulle implicazioni oncologiche del PSA e le infinite considerazioni che ne possono derivare. Ci limitiamo ad esprimere due concetti cui teniamo molto e in cui assai spesso ci imbattiamo nella nostra pratica.

  1. I valori del PSA rilevati in corso di disturbi irritativi importanti delle basse vie urinarie (es. prostatiti, uretriti) non sono indicativi e non devono immediatamente indurre ad ansie, timori e necessità di ulteriori accertamenti. Nella maggior parte dei casi, questi valori tenderanno a scendere, anche se abbastanza lentamente, con lo stabilizzarsi dell’episodio irritativo acuto. L’esame andrà quindi ripetuto nel tempo, ma mai in modo maniacale.
  2. Nell’ingrossamento benigno della prostata dell’età matura il PSA può essere alterato in modo molto variabile e poco prevedibile, anche se vi è una lieve associazione tra volume della prostata e valori del marcatore. Questo è più evidente in prostate molto ingrossate in uomini molto anziani, in cui valori anche “preoccupanti” di PSA possono essere tollerati senza eccessive apprensioni.